La torre di Babele su La Stampa

Pubblichiamo lo scambio epistolare avvenuto nei giorni scorsi sul quotidiano La Stampa, al quale ha partecipato il nostro vice presidente, Diego Fiumarella. Alla lettera iniziale a favore dell’esperanto inviata dallo spagnolo Ismael Ejarque Doménech, intitolato dalla redazione del quotidiano torinese “La torre di Babele”, ha risposto la lettrice di Mestre Concetta L.N., cui ha seguito la replica di Diego. La risposta ulteriore da parte della signora Concetta è arrivata direttamente al nostro sito e la potete trovare come commento alla pagina Informazioni. Mentre viene scritto questo articolo, scopriamo che c’è stata una nuova lettera di replica.

La torre di Babele

da Editoriale dei Lettori sul quotidiano La Stampa del 7 gennaio 2011

Come spagnolo e cittadino dell’Unione europea ho dovuto fare un bell’«investimento» linguistico.Mentre basterebbe una lingua sola: l’Esperanto.
Sono un cittadino spagnolo che con frequenza viaggia all’interno della Unione Europea. E ogni volta vedo la Torre di Babele. Come spagnolo devo parlare bene lo spagnolo e nella mia regione la lingua valenziana. Siccome viaggio spesso in Italia, parlo l’italiano. Poi sono medico e allora devo saper bene l’inglese perché è la lingua della scienza, della tecnologia e dei rapporti internazionali. Insomma, devo fare un bell’«investimento» linguistico.
Viviamo in un mondo dove l’inglese è diventata la lingua franca. Ma ci sono tanti cittadini e nazioni che non sono d’accordo nell’ammettere l’inglese come lingua di rapporti internazionali sebbene sia la lingua del più forte. Perché non imparare il cinese se ci sono tanti rapporti commerciali con la Cina? Possiamo rimanere a imparare la lingua che nel momento è del paese più influente. Questo propone oggi un modello unicentrico dove la lingua modello deve essere quella di Shakespeare. Tante persone vanno negli Usa e in Gran Bretagna per impararla. Ma… e se in in futuro il cinese sarà la lingua dominante? Possiamo proporre un modello unicentrico di lingua internazionale oppure uno policentrico: l’Esperanto. Una lingua creata nel 1887 molto più facile da imparare che l’inglese dove non ci sono rapporti di superiorità-inferiorità perché nessuno è nato in «Esperantolandia». Lingua di nessuno e lingua di tutti. Si impara nei diffusi club esperantisti sparsi in tutto il mondo. Oppure viaggiando gratis grazie al «Pasporta Servo», Passaporto dell’Esperanto, creato per promuovere la conoscenza di questa lingua.
Tutti gli anni si svolge un congresso internazionale esperantista che nel 2011 si terrà a luglio in Copenhagen, Danimarca. Una lingua per la pace e per la tolleranza con un rapporto di uguaglianza tra tutti i cittadini del nostro pianeta.

Ismael Ejarque Doménech

41 anni, medico di famiglia, Requena, Comunitat Valenciana, Spagna


Esperanto, lingua bella senz’anima

da Lettere al Giornale sul quotidiano La Stampa del 8 gennaio 2011

Ho letto con interesse l’editoriale sull’esperanto. Tanti anni fa mi avvicinai ad insegnanti di quella lingua. Lo scopo di risolvere i problemi di comunicazione fra i vari popoli è condivisibile. Ma ecco il problema; sta nell’aggettivo che la connota: artificiale. Un insieme di vocaboli derivanti da lingue neolatine e anglosassoni e credo slave, con una semplice grammatica. Mi è subito sembrata senz’anima, sterile e estranea alle varie culture proprio perché vorrebbe contenerle tutte in un unico idioma. Insisterei nell’investire energie e tempo nell’imparare le lingue straniere con un occhio alla loro letteratura e alla storia del loro paese. Se poi un giorno la lingua predominante sarà il cinese, poiché l’uomo è un animale con una enorme capacità di adattamento, forza con gli ideogrammi.

Concetta L.N. Mestre (VE)


L’Esperanto non è artificiale

da Lettere al Giornale sul quotidiano La Stampa del 10 gennaio 2011

Vorrei interloquire con la lettrice Concetta L.N. di Mestre (VE). L’Esperanto non è più artificiale di qualunque altro idioma, in quanto ogni lingua è prodotto e specchio di una cultura. Già Dante ci avverte: «Opera naturale è ch’uom favella, ma così o così natura lascia poi fare a voi secondo che v’abbella» (Paradiso XXVI 130-132).
Nello specifico, la cultura esperantista, intrisa di valori come amicizia, pacifismo, unità nella diversità, si può sperimentare in ogni incontro esperantista, a livello locale, nazionale o internazionale e documentata dalla ricca letteratura in Esperanto su ogni tema, sia tradotti sia originalmente composti in questa lingua. Io amo ripetere che a me l’Esperanto piace perché è semplice ma ricco, rigoroso ma flessibile e razionale ma passionale!

Sfido chiunque a trovare una lingua che, con solo 16 regole grammaticali e nessuna eccezione, è in grado di esprimere pressocché infiniti concetti, con qualunque sfumatura di significato, pur avendo solo 22mila radici, comprese quelle più tecniche (mentre l’inglese ha ben un milione di vocaboli…).

Diego Fiumarella, Vicepres. Centro Esperanto di Torino

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