Un secolo di traduzioni letterarie dall’italiano in esperanto

Secondo capitolo di “Un secolo di traduzioni letterarie dall’italiano in esperanto” di Carlo Minnaja.

1.2 La prima antologia e le prime grandi traduzioni

Nel 1893 esce un piccolo libretto di formato tascabile, 10,3×16 cm., di 160 pagine, dal titolo La Liro de la Esperantistoj [21] (La Lira degli Esperantisti), con il sottotitolo Kolekto da Versaĵoj en la Lingvo internacia “ESPERANTO” (Raccolta di opere in versi nella lingua internazionale “ESPERANTO”): è la prima antologia in esperanto, ed è di poesia. Il redattore è Antoni Grabowski, un ingegnere chimico, autore, in polacco, di vari libri scientifici e di un vocabolario tecnico. Grabowski conosce parecchie lingue[22]; ha studiato il Volapük, di cui è rimasto deluso per la sua difficoltà, e quindi ha imparato l’esperanto avendo comprato il Primo libro in una stazione. Con il 1888 visita Zamenhof più volte e da lui riceve consigli ed incoraggiamenti[23]. Per “esercitarsi” nella lingua traduce La tempesta di neve, un ingenuo racconto romantico di Puŝkin, che esce come opuscolo autonomo nel 1888: è la prima opera letteraria in esperanto in assoluto, che segue i primi libri di apprendimento. Grabowski sceglie dunque un’opera russa per le sue prove iniziali di traduttore, e subito dopo traduce I fratelli di Goethe, opera che appare anch’essa nel 1888; il russo e il tedesco sono nettamente le lingue di maggior prestigio nell’Europa centro-orientale, il polacco appare ancora poco nobile; soltanto nel 1891 usciranno traduzioni da Prus e Sienkiewicz.

Grabowski già da un anno andava raccogliendo materiale per questa antologia, in parte tramite lettere con gli altri utenti della lingua, in parte riprendendo quanto compariva su La Esperantisto. Se il libretto è modesto come formato, il suo contenuto è tutt’altro che trascurabile: ci sono 110 poesie di 24 autori, in larga parte tradotte dal tedesco e dal russo, ma anche da molte altre lingue: inglese, polacco, arabo, ungherese, lettone, lituano, italiano, ceco… Ci sono anche 27 poesie originali, di dodici poeti di lingue e paesi diversi. La comunità dei poeti in esperanto riceve dunque il suo battesimo ufficiale. I temi sono spesso banali, e le traduzioni sono differenti come struttura e come livello; non mancano canti popolari, il che attesta l’interesse dei primi traduttori per l’aspetto unificante e fraternizzante della poesia. Sono ancora frequentissimi gli adasismi[24] e anche delle notevoli forzature sulla successione logica delle parole per poter ottenere una certa rima o un certo ritmo; ma si possono riconoscere delle chiare personalità individuali: oltre allo Zamenhof compaiono suo fratello Leone, Grabowski stesso, l’ebreo russo Mozes Goldberg, e debutta un vero talento poetico: il russo Vasilij Devjatnin.

La scelta delle poesie tradotte appare quasi del tutto casuale: alcune sono famose, altre relativamente note, altre del tutto sconosciute, ma il solo fatto di proporle è già un grande successo: chi avesse in mano questa antologia potrebbe gustare dei piccoli gioielli non così largamente noti in Europa. Il significato propagandistico di una ancorché piccola opera di questo tipo era ben chiaro: l’esperanto è una lingua come le altre, ha in embrione una sua letteratura originale, e tramite l’esperanto ci si può avvicinare a letterature assai poco tradotte nelle lingue di grande comunicazione. La lingua internazionale assolve quindi uno dei suoi compiti primari, quello di far conoscere, in un campo più vasto e su un piede di parità, valori letterari di popoli relegati ai margini della cultura europea perché la loro lingua è poco diffusa[25]. Oltre a Longfellow e Krylov, Heine e Lermontov, Goethe e Mickiewicz, Puškin e Petöfi compaiono anche autori importanti nella loro lingua, ma assai meno noti internazionalmente, come il boemo Hálek[26] o lo slovacco Kollár[27], la polacca Konopnicka[28] o il russo Nadson[29]. Si può notare una certa attualità: quasi tutti i poeti tradotti sono del XIX secolo, e dunque c’è una scrupolosa attenzione alla fama del momento; inoltre quasi tutte le tematiche si ispirano agli ideali romantici e di fratellanza universale, così consoni all’ideologia esperantista che allora si andava formando.

La poesia italiana è rappresentata in questa antologia da tre traduzioni: un’arietta del Metastasio (Se a ciascun l’interno affanno…), tradotta da Grabowski stesso, e due tradotte dal Marignoni: una del Giusti (Preghiera) e una di Alessandro Paravia[30]. Viste coi criteri di oggi, le traduzioni del Marignoni verrebbero classificate assai poco fedeli e, in più di un punto, infelici; pur considerando che la tradizione poetica in esperanto era ancora ai primordi, e quindi la ricerca della rima era considerata una giustificazione valida che faceva accettare anche versi mal strutturati ritmicamente e costruzioni sintattiche forzate, un confronto mostra che altri poeti erano tuttavia capaci di una versificazione assai migliore. Ma dobbiamo ricordare che il Marignoni aveva contatti con l’esperanto soltanto come lingua scritta, mentre altri operavano all’interno di gruppi linguisticamente vivaci.[31]

Un regresso della presenza dell’italiano si ha dieci anni dopo nella seconda antologia di letteratura esperanto, la Fundamenta Krestomatio (Crestomazia Fondamentale), raccolta di poesie e prose redatta dallo Zamenhof ed apparsa a Parigi presso Hachette nel 1903. Si tratta di un’opera assai più matura sotto tanti punti di vista. Zamenhof ha firmato un contratto con la casa editrice Hachette concedendo a questa il monopolio delle sue opere, che cominciano ad essere tante e molto richieste: il futuro economico di Zamenhof è assicurato e il numero di lettori è in continuo aumento. Non c’è quindi più bisogno di mostrare che la lingua esiste e di accogliere perciò con soddisfazione qualsiasi traduzione, indipendentemente dalla qualità. Questa nuova antologia è assai più selettiva e comprende 70 poesie, parecchie delle quali già pubblicate nella Liro, e 26 prose. Alcune sono lunghe e impegnative, come Gli abiti nuovi dell’imperatore e La sirenetta di Andersen (tr. Zamenhof), o il primo canto dell’Iliade e La nave degli schiavi di Heine (tr. Antoni Kofman); altre più leggere, come Lorelei di Heine (tr. Zamenhof). Compaiono anche poesie originali di tutto rispetto, sia per la lunghezza, sia per il valore lirico, ma tra i trenta autori o traduttori manca qualsiasi presenza italiana.

La Fundamenta Krestomatio compare dunque dieci anni dopo la Liro. Nel frattempo erano apparse traduzioni importanti, e da lingue importanti: La battaglia della vita di Dickens (tr. Zamenhof) forse non aveva avuto un grande influsso, perché apparsa a puntate su La Esperantisto nel 1891, ma ben più importante è Amleto, che esce nel 1894. Zamenhof non è padrone dell’inglese e si affida per aiuto alla versione in tedesco, per cui la sua traduzione, in versi, è a volte semplificatrice, a volte non troppo fedele; tuttavia si tratta di una bella opera, linguisticamente armoniosa, che godrà di un meritato successo, con edizioni e ristampe successive. Erano inoltre uscite altre opere tradotte dal polacco, dal russo, dal tedesco, dal francese: la lingua letteraria aveva preso consistenza e sicurezza, il lessico era significativamente cresciuto per le nuove necessità, autori e traduttori avevano a disposizione uno strumento maturo. Si può marginalmente notare che sia dal tedesco che dal russo traducono indifferentemente russi, tedeschi e polacchi, il che indica come certe lingue e certe letterature fossero largamente note nell’Europa centro-orientale.

In questa nuova dimensione la letteratura italiana resta al palo. Il movimento esperantista in Italia comincia a concretarsi come tale, al di là di alcuni adepti isolati, nei primissimi anni del Novecento. Ma sono straniere le personalità che vi danno impulso: il senatore svedese Claes Adelsköld[32] dedica al Congresso della Pace, che si svolge a Roma nel 1891, la musica per l’inno esperantista La espero (la speranza)[33]; a quel congresso partecipa la baronessa Bertha von Suttner, premio Nobel per la pace nel 1905, che si esprimerà più volte a favore dell’esperanto. Nel 1897 si converte all’esperanto dal Volapük l’inglese Clarence Bicknell, che vive a Bordighera[34]; è un buon poeta originale, traduce dall’inglese e dall’italiano: nella rivista inglese The Esperantist dal 1904 al 1906 compaiono una poesia di Carlo Alberto Bosi e tre di Ada Negri; con il 1915 usciranno Una partita a scacchi di Giacosa, Il bove di Carducci e Canti popolari italiani. La boema Rosa Junck[35] giunge a Bordighera, dove impara l’esperanto e quindi collabora con il Bicknell; l’inglese Daniel Lambert[36] pubblica le prime sei terzine dell’Inferno su The Esperantist nel 1905, il francese conte Albert Gallois, esperantista dal 1902, sposa un’italiana e si stabilisce a Riolunato (Modena), dove fonda il primo gruppo esperantista in Italia[37]. Il Gallois contribuisce anche alla fondazione della Società Italiana per la Propaganda dell’Esperanto, sodalizio sul modello di uno analogo già attivo in Francia, e promuove la fondazione a Torino del primo periodico in Italia, L’Esperantista (1902). Nell’Annuario degli esperantisti, edito in Francia, in Italia figurano solo otto nomi, i più dei quali non italiani.

Questi dunque i promotori nel nostro paese; è naturale quindi che ancora nessuno possa prendere il posto di Marignoni come traduttore dall’italiano. Tuttavia il 1905 segna un punto di svolta sia per la lingua, sia per il movimento mondiale, sia per la letteratura. Si svolge il primo congresso di esperanto a Boulogne-sur-Mer, località turistica sulla Manica: è la prima assise mondiale, dove si incontrano 688 persone di 30 nazioni. La lingua ha già 18 anni, ha dimostrato la sua utilizzabilità a tutti i livelli anche nelle conversazioni, ci sono già stati numerosi convegni di minori proporzioni, ma non si era mai avuto un incontro di così vasta portata, che costituisce un test molto significativo. L’esperanto esce egregiamente da questa prova: nonostante il fatto che la maggior parte dei convenuti avesse imparato la lingua su un manuale e non l’avesse mai praticata a voce con persone di altre nazioni, non vi sono differenze significative nella pronuncia e la comprensione è perfetta. Il congresso nomina anche un Comitato Linguistico che collabori con lo Zamenhof nel controllo dell’evoluzione della lingua[38]. Sono eletti 102 membri di 28 nazioni; 21 sono francesi, 12 sono inglesi. La presenza italiana è deludente: sono eletti sei membri residenti in Italia, ma di questi soltanto due sono italiani, il Marignoni e l’avv. Raffaele Bagnulo[39] di Napoli. Gli altri quattro sono il Bicknell, il Gallois, la Junck e il francese prof. Gaspard Blanc residente a Roma. Tuttavia anche in Italia l’esperanto comincia finalmente a fare proseliti, ed è in questo primo decennio del secolo XX che nascono numerosi gruppi importanti: un primo embrione del gruppo romano si ha nel 1904, con fondazione ufficiale nel 1905, anno in cui nascono anche gruppi a Firenze e Bologna; nel 1906 nascono gruppi a Trieste e Milano.

Durante il congresso di Boulogne-sur-Mer la lingua ha una stabilizzazione. Zamenhof presenta tre opere didattiche: la Grammatica, gli Esercizi e il Vocabolario universale. Questi testi vengono dichiarati dal congresso come l’intoccabile Fundamento (Fondamento) della lingua, nel senso che la lingua può evolvere, ma senza discostarsi dai principi basilari codificati nel Fundamento. La lingua aveva avuto varie proposte di riforma, tra le quali anche una di Grabowski, ma alla ricerca di miglioramenti il pubblico oppose un desiderio di stabilizzazione: troppe persone avevano imparato la lingua così come era nata nel 1887 e avevano costituito già una massa critica. L’esperanto non era più un progetto a cui qualche modifica o miglioramento studiato a tavolino avrebbe potuto portare un maggior numero di adepti: era già lingua viva con i suoi parlanti, autori, stampa, letteratura. Il Fundamento codifica le regole grammaticali e il loro uso, nonché i significati delle parole. Esso sostituisce quindi il cammino secolare fatto dalle lingue etniche e fissa una base di partenza per qualsiasi evoluzione successiva[40].

La letteratura ha una improvvisa accelerazione nel 1906, conseguenza del successo del congresso dell’anno prima. Su proposta del prof. Carlo Bourlet[41] la casa editrice Hachette decide di pubblicare un periodico mensile in esperanto esclusivamente letterario, La Revuo (La Rivista): Zamenhof ha quindi una larga possibilità di far uscire a puntate le sue traduzioni, che spaziano dalla Bibbia a Gogol, da Schiller a Goethe, da Andersen a Molière, alla Orszesko. Oltre a Zamenhof, che ha a disposizione 18 pagine ogni numero, collaborano gli esperantisti più illustri, i polacchi Grabowski e Kabe[42], gli svizzeri Hodler[43] e Privat[44], i francesi Boirac[45] e Menu de Ménil.

Note

[21] A. Grabowski (red.), La liro de la Esperantistoj, Tümmel, Nürnberg, 1893.

[22] Una testimonianza del figlio, ing. Sygmunt Grabowski, lo dice buon conoscitore di una ventina di lingue; una tradizione aumenta tale numero a trenta, probabilmente per il fatto che in una sua antologia figurano traduzioni da altrettante lingue, ma certamente varie traduzioni, ad esempio quelle da lingue asiatiche, sono mediate attraverso qualche lingua-ponte.

[23] Secondo una tradizione, confermata dal figlio, tra Grabowski e Zamenhof si è svolta la prima conversazione in esperanto nel 1888. Tuttavia probabilmente alcune frasi, almeno di prova e di esercizio, Zamenhof le avrà scambiate già prima con i fratelli e il suocero, che si erano avvicinati subito alla lingua; la testimonianza probabilmente va intesa come la prima conversazione piena con persona fuori della famiglia.

[24] Italianizzazione di un termine in esperanto che indica una rima fatta tramite un suffisso. In particolare venivano considerate poco eleganti le rime nei verbi usando il suffisso -ad-: due voci verbali che non rimano, come, ad esempio, kantas (= io canto) e skribas (= io scrivo) vengono fatte rimare aggiungendo il suffisso -ad-, che indica un prolungamento dell’azione, e costruendo così le forme kantadas (= io canto a lungo) e skribadas (= io scrivo a lungo). Poiché questo si può fare con tutti i verbi e con vari suffissi, tale rima costruita così banalmente è ritenuta da evitarsi. I versificatori primitivi invece trovavano estremamente comoda per la rima questa potenzialità data dalla lingua.

[25] Può essere indicativa una statistica, ancorché piuttosto vecchia, presa dall’Index Translationum dell’Unesco. Nel decennio 1957-1966 sono apparse traduzioni da tutto il mondo, ma il 70% di queste proveniva da quattro lingue soltanto (inglese, russo, francese, tedesco). Nello stesso periodo sono uscite 344 traduzioni in esperanto, e le prime quattro lingue da cui si tradusse maggiormente furono il cinese, il vietnamita, l’olandese e il giapponese, che coprivano peraltro meno del 50% delle traduzioni effettuate. Nel 2004, ultima statistica nota dall’Index Translationum, le prime cinque lingue (inglese, francese, tedesco, russo, italiano) coprono una percentuale attorno al 90%; il solo inglese copre il 55% delle prime 50 lingue e la seconda lingua, il francese, ha meno di un sesto delle traduzioni rispetto all’inglese.

[26] Vitěslav Hálek (1835 – 1874), poeta e narratore ceco, dette il meglio di sé nella descrizione del paesaggio boemo.

[27] Ján Kollár (1793 – 1852), scrittore slovacco di lingua ceca. Fu parroco della comunità protestante slovacca di Budapest e quindi professore all’università di Vienna. Rappresentante degli ideali di fratellanza tra le popolazioni slave, si sforzò di dimostrare le origini slave di gran parte delle popolazioni dell’Italia settentrionale.

[28] Maria Konopnicka (1842 – 1910), poetessa di ispirazione patriottica e sociale, autrice di un epos popolare eroico e di novelle e fiabe per bambini.

[29] Semën Nadson (1862 – 1887), morto di tisi, fu il cantore dei giovani progressisti, e alcuni suoi versi divennero poi slogan rivoluzionari.

[30] Pier Alessandro Paravia (1797 – 1857) fu professore di eloquenza all’università di Torino, traduttore di Plinio il Giovane e buon memorialista. Di lui restano significative le lezioni accademiche e prose varie; la sua produzione poetica, peraltro scarsa, non è tra le sue cose migliori.

[31] Come curiosità conclusiva su La Liro de la Esperantistoj possiamo citare il fatto che la copertina, in verde chiaro, riporta una stella a cinque punte disegnata come fosse in rilievo; il libro seguì quindi la proposta di L. de Beaufront (ps. di E. L. Chevreux, 1855 – 1935), apparsa su La Esperantisto nel maggio 1893, che tutte le pubblicazioni in esperanto avessero una copertina verde con una stella, entrambi simboli di speranza. Successivamente sulla stessa rivista fu proposta una stella d’oro in campo verde come segno di riconoscimento degli esperantisti da portarsi all’occhiello; verso il 1895 si affermò come simbolo della lingua e dei suoi sostenitori una stella verde a cinque punte, e il vessillo è un drappo verde con un rettangolo bianco in alto a sinistra, entro il quale campeggia una stella verde a cinque punte. Dunque la copertina di La Liro de la Esperantistoj è probabilmente il primo libro che espone il simbolo diventato poi il simbolo della lingua.

[32] Claes Adelsköld (1824 – 1907), ingegnere militare, costruttore di ferrovie e ponti (in particolare a lui si deve la prima ferrovia svedese nel 1849), pittore, scrittore e musicista, fu membro (anche presidente) dell’Accademia Svedese delle Scienze.

[33] La espero è una poesia di Zamenhof, probabilmente la prima opera in esperanto messa in musica, ed iniziò ad essere considerata l’inno del movimento esperantista verso il 1895. La partitura di Adelsköld è a quattro voci e perciò poco adatta a diventare veramente popolare. Furono proposte quindi altre melodie; una scelta ufficiale non fu mai effettuata, ma nei primi congressi degli esperantisti si affermò spontaneamente una musica da marcia militare composta nel 1905 dal barone francese Félicien Menu de Ménil (1860 – 1930); con tale musica La espero è l’inno ufficiale ancora oggi. Il compositore Lorenzo Perosi scrisse: “Se si dovesse musicare un inno alla Pace stimerei come il più adatto ‘La Espero’ di Zamenhof.”

[34] Clarence Bicknell (1842 – 1918), già pastore anglicano, fu botanico e archeologo di fama internazionale. Un museo di Bordighera porta il suo nome e ospita le sue raccolte e i suoi reperti.

[35] Rosa Junck, nata Bilek (1850 – 1929) ha tradotto in esperanto alcune opere di De Amicis e ha tradotto in italiano il Fundamento de Esperanto (1906).

[36] Daniel Henry Lambert (1852 – 1930), avvocato e linguista, co-fondatore dell’Associazione Esperantista Britannica, ha tradotto da Shakespeare Macbeth e Giulio Cesare.

[37] Il conte Gallois fondò varie altre associazioni, fu segretario dell’Accademia “Lo Scoltenna” e fu per trent’anni l’anima della vita del piccolo paese di Riolunato. Vd. C. Strozzi: Gallois, un ritorno alle origini, “L’esperanto”, 8/9, 1986, pp. 8-9.

[38] Il Comitato Linguistico viene costituito durante il congresso ed ha oltre 100 membri: presidenti dei gruppi più numerosi, redattori di riviste, autori di opere letterarie o di apprendimento. Verrà elaborato uno statuto che sarà approvato con il congresso successivo. Dopo varie modifiche di statuto, la più importante delle quali, di fatto una rifondazione, si avrà dopo la seconda guerra, tale comitato è attivo tuttora sotto il nome di Accademia di Esperanto.

[39] Raffaele Bagnulo (1880 – 1975), napoletano poi trasferitosi a Bologna, fu illustre membro dell’Avvocatura dello Stato. Attivissimo nel movimento esperantista fino a tarda età, fondò anche dei periodici che ebbero però breve durata; tradusse il V canto dell’Inferno (1906).

[40] Lungi dall’irrigidire la lingua, come i riformatori temevano, l’aver fissato l’intoccabilità di certe basi ha consentito, nell’arco di un secolo, una evoluzione naturale come quella delle lingue etniche. Altri progetti di lingue pianificate, alla continua ricerca di miglioramenti, non sono mai riusciti ad ottenere neanche quella sia pur modesta diffusione di cui gode l’esperanto, anche se obbiettivamente “migliori” come facilità. Il maggiore o minore successo di una lingua pianificata dipende in parte assolutamente minima dalla migliore o peggiore struttura della lingua in sé, ma varia secondo motivazioni economiche, politiche e sociali.

[41] Carlo Bourlet (1866 – 1914), professore di matematica al Conservatorio di Arti e Mestieri a Parigi, autore di numerosi testi per i licei, si è dedicato principalmente alla meccanica applicata. Attivista entusiasta nel movimento, ha pubblicato anche una grammatica condensata in poche pagine, distribuita in oltre 500.000 esemplari.

[42] Pseudonimo del medico polacco Kazimierz Bein (1872 – 1959), fondatore della Società Oftalmologica Polacca e dell’Istituto di Oculistica di Varsavia, di cui fu a lungo direttore. Ebbe un’attività intensa nel campo esperantista, dal 1906 vicepresidente dell’Accademia di Esperanto, tradusse varie opere dal polacco, dal russo e dal tedesco, e scrisse il primo vocabolario di esperanto con definizioni nella lingua stessa. Compilatore della prima antologia di una letteratura nazionale in esperanto, quella polacca, fu il creatore di uno stile letterario semplice, chiaro e scevro da idiotismi nazionali, nel periodo in cui ancora la lingua risentiva di influenze delle lingue nazionali a seconda degli autori, e portò la prosa in esperanto ad una piena maturità, tanto che fu chiamato “padre della prosa esperanto”. Nel 1911, al culmine del suo successo, abbandonò improvvisamente qualsiasi attività esperantista, tanto che in esperanto è nato il verbo kabei per indicare un sopraggiunto disinteresse per la lingua e il suo movimento. I motivi di tale abbandono non furono mai chiariti (forse dissapori con altri esponenti); in un’intervista del 1931 egli dichiarò che non riteneva più che l’esperanto fosse la soluzione del problema della lingua internazionale.

[43] Hector Hodler (1887 – 1920), svizzero, figlio di un rinomato pittore, fu per tredici anni redattore della rivista Esperanto. Convinto dell’idea che la lingua dovesse essere utilizzata praticamente, fondò la Universala Esperanto-Asocio (UEA, Associazione Mondiale di Esperanto), che ha una rete di delegati per servire i soci e che tuttora è la più grossa associazione di esperantisti.

[44] Edmond Privat (1889 – 1962), svizzero, professore universitario di diritto, rappresentante della Persia presso la Società delle Nazioni, organizzatore, redattore, oratore, poeta, novelliere, storico del movimento. Fu molto legato all’ideologia non violenta di Gandhi. Su di lui è recentemente uscito P. Martinelli, Edmond Privat – l’uomo e l’opera, Centro Italiano di Interlinguistica, Milano, 2004.

[45] Émile Boirac (1851 – 1917), professore universitario di filosofia, rettore delle università di Grenoble e di Digione, traduttore della Monadologia di Leibniz, presidente del Comitato Linguistico, strenuo difensore dell’esperanto all’epoca del conflitto sulle riforme che portò alla creazione dell’Ido (1907-1908).

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